22.04.2024
Le emissioni di anidride carbonica, i cambiamenti climatici, l’aumento del livello del mare, l’estinzione di alcune specie, la deforestazione, sono tutti segnali che annunciano l’inizio di un cambiamento mai visto nei millenni precedenti
Dalla metà del Ventesimo secolo, il nostro pianeta ha subito delle trasformazioni profonde dovute alle attività dell’uomo. Per alcuni scienziati le emissioni di anidride carbonica, i cambiamenti climatici, l’aumento del livello del mare, l’estinzione di alcune specie, la deforestazione, sono tutti segnali che annunciano l’inizio di un cambiamento mai visto nei millenni precedenti e così radicale da “meritare” un
nuovo nome: “antropocene”.
I dati Nasa-Noaa delineano un quadro altrettanto allarmante rispetto ai cambiamenti climatici: gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati da quando è iniziata la rilevazione, nel 1880. Non è tanto il record di un singolo anno che ci deve far preoccupare quanto piuttosto le tendenze a lungo: il fatto che otto dei 10 anni più caldi del nostro pianeta si siano verificati nell’ultimo decennio sottolinea la necessità di un’azione coraggiosa per salvaguardare il futuro del nostro Paese e dell’intera umanità.
Gli effetti collaterali del riscaldamento globale sono già visibili: il ghiaccio marino artico sta diminuendo, il livello del mare sta aumentando, gli incendi stanno diventando più gravi e i modelli di migrazione degli animali stanno cambiando.
L’aumento della temperatura anche di un solo grado può sembrare poco ma gli effetti su scala planetaria sono notevoli perché gran parte del pianeta è ricoperta di acqua che ha una capacità termica molto elevata: il 90% del calore del riscaldamento globale finisce negli oceani.
Nel 2021 la temperatura dell’Oceano, inteso come sistema unico e globalmente connesso a prescindere dalle diverse denominazioni a cui ci ha abituato la geografia, ha raggiunto i valori più caldi mai misurati per il sesto anno consecutivo. Particolare allarme desta il Mediterraneo, confermandosi il bacino che si scalda più velocemente.
Il riscaldamento degli oceani ha gravi ripercussioni sugli ecosistemi marini che soffrono per l’acidificazione degli oceani: l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera altera la composizione chimica dell’acqua e potrebbe presto renderla invivibile per la maggior parte delle specie marine. Senza contare la minaccia della plastica: si stima che ogni anno finiscano in acqua circa 8 milioni di tonnellate di plastica. Oceani più caldi influiscono notevolmente anche sulle condizioni meteorologiche locali, generando tempeste più potenti e favorendo l’innalzamento del livello del mare con gravi ripercussioni per gli Atolli del Pacifico, gli stati insulari come le Maldive e tutte le aree costiere.
Segnali allarmanti provengono dai gravi eventi climatici che sono sempre più frequenti in tutto il mondo: ondate di caldo e siccità, incendi, cicloni tropicali, uragani, alluvioni devastanti, freddo e neve.
Negli ultimi anni gli incendi hanno consumato vaste aree in Australia, Siberia, costa occidentale degli Stati Uniti e Sud America. Abbiamo assistito ad un numero record di uragani nell’atlantico. In alcune zone dell’Africa e del Sud Est Asiatico le grandi inondazioni hanno portato a massicci spostamenti di popolazione minando la sicurezza alimentare di milioni di persone, in un contesto già duramente provato dalla pandemia. Secondo la FAO nel 2020 oltre 50 milioni di persone sono state colpite in modo congiunto dai disastri legati al clima e dalla pandemia di Covid-19.
Un altro parametro che ci permette di capire lo stato di salute del nostro pianeta è la biodiversità: i dati del WWF evidenziano che le popolazione di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno subito un declino medio del 68% in meno di mezzo secolo. La crescente distruzione della natura da parte dell’umanità (deforestazione, agricoltura insostenibile, commercio illegale di fauna selvatica) sta avendo impatti catastrofici non solo sulla popolazione di fauna selvatica ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita.
E quando si parla di biodiversità bisogna pensare anche a quella del suolo che è uno dei principali serbatoi di biodiversità: nel suolo, infatti, è custodito più del 25% della diversità biologica mondiale. Al suolo, inoltre, è legato il ciclo di vita di oltre il 40% degli organismi viventi negli ecosistemi terrestri, oltre ad essere il luogo in cui si produce il 95% del cibo che consumiamo. La salute dei suoli e dei servizi ecosistemici ad essi correlati è in pericolo con gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare, la nutrizione, il clima.
Le risorse del nostro Pianeta sono in grave pericolo e ogni giorno consumiamo più risorse di quante ne vengono prodotte. Ogni anno il giorno in cui la Terra oltrepassa il limite della sostenibilità ambientale (Earth OvershootDay) cade sempre prima nel calendario. Nel 1975 era il 28 novembre, nel 1997 alla fine di settembre e nel 2019 il 29 luglio. Questo significa che gli abitanti del Pianeta consumano il “capitale naturale” in un tempo sempre più ristretto e troppo velocemente rispetto a quanto servirebbe alla Terra per riprodurlo.
Ciò dimostra che sono possibili rapidi cambiamenti nei modelli di consumo delle risorse naturali. Ma la vera sostenibilità, quella che permette a tutti di vivere bene sulla Terra, non può essere raggiunta attraverso eventi disastrosi come una pandemia. Deve invece essere il risultato di comportamenti individuali e collettivi guidati da un reale e consapevole atto di volontà e di programmazione volto alla sostenibilità globale.
Dobbiamo quindi scegliere il cambiamento e dobbiamo farlo subito perché ormai invertire la rotta è un’urgenza, non possiamo più aspettare.
LEGGI I NOSTRI APPROFONDIMENTI