05.02.2019
Ecco tutte le curiosità e numeri di una brutta abitudine che gli italiani stanno imparando a contrastare
Parlando di sprechi alimentari si pensa immediatamente al cibo acquistato e non consumato che finisce nella nostra spazzatura. Tale definizione non può essere considerata esaustiva in quanto esclude totalmente lo spreco che si ha durante il livello produttivo.
In tal senso la FAO attua una grande divisione per spiegare il fenomeno: da un lato si ha il cibo perso nei meccanismi produttivi, dall’altro il cibo gettato nella fase di consumo. Per quel che riguarda i meccanismi produttivi, si intendono le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti. In questa prima fase si inizia già ad avere una perdita di prodotti alimentari. La fase di consumo invece caratterizza l’ultimo momento della catena alimentare; anche qua, durante la distribuzione, vendita e consumo finale si riscontrano degli sprechi. Mentre nel primo caso la perdita di risorse alimentari è effetto di limiti logistici e infrastrutturali, nel secondo caso dipende da fattori comportamentali.
Un recente studio della FAO[1] ha evidenziato che nei Paesi in via di sviluppo gli sprechi, che molto spesso sono appunto perdite strutturali, avvengono durante le fasi produttive (raccolta, stoccaggio, lavorazione e trasporto) mentre nei Paesi sviluppati avvengono nella fase finale della filiera e quindi al livello del consumatore.
In Africa, America Latina e Asia meridionale, ad esempio, le maggiori perdite si registrano in fase di allevamento, a causa di malattie che colpiscono in modo particolare l’Africa sub-sahariana, e nelle fasi di movimentazione e stoccaggio successive alla macellazione. Nelle regioni ad alto reddito, invece, lo spreco di carne è più significativo a livello di consumo: in Europa e Nord America, i rifiuti dei consumatori rappresentano oltre la metà della carne persa e sprecata.
Tutto il cibo che in vari momenti e in vari modi finisce nella spazzatura è uno spreco: di energia, acqua, terra, carburante, risorse naturali ed economiche. Perché quel cibo è stato prodotto, trasportato, trasformato, confezionato, acquistato, conservato. Campi seminati senza raccolto, frutta e verdura scartate per motivi “estetici”, alimenti danneggiati durante trasporto, stoccaggio e distribuzione, acquisti troppo abbondanti da parte dei consumatori, cibi scaduti nei frigoriferi domestici e nelle mense. Tanti modi per dire la stessa cosa: un uso delle risorse inadeguato e controproducente.
SPRECO ALIMENTARE E FILIERE CORTE. È importante sottolineare che il fenomeno dello spreco alimentare ha visto un forte incremento a partire dagli anni ’80, anni dell’americanizzazione dello stile di vita in Italia. Ciò ha portato a un cambio di paradigma in cui il cibo e l’alimentazione non sono più visti come elementi determinanti della nostra salute che richiedono attenzione e cura, ma finiscono sotto le regole del consumismo sfrenato, caratterizzato dal “tutto e subito”. Ciò ha portato a una trasformazione nella produzione e nel consumo del prodotto alimentare, con un sostanziale aumento delle distanze sia spaziali che culturali tra il luogo di produzione del cibo e quello di consumo. Un modello che si pone in netto contrasto con l’idea di territorialità, salubrità, tradizione, stagionalità e rispetto dell’ambiente.
Il rapporto realizzato da ISPRA[2] ha indagato tutti i processi dei sistemi alimentari nell’ottica di operare una “prevenzione strutturale” del fenomeno dello spreco alimentare. Analizzando nel dettaglio le cause e i condizionamenti lungo le filiere emerge che nelle filiere corte, locali e biologiche (vendita in azienda, mercati e negozi degli agricoltori) lo spreco è mediamente 3 volte inferiore a quello dei sistemi convenzionali. Nel caso di reti alimentari ancor più capillari, su base ecologica, locale, solidale e di piccola scala, lo spreco arriva a essere circa 8 volte inferiore. Chi si approvvigiona solo tramite reti alternative spreca in media un decimo di chi usa solo canali convenzionali.
Le prestazioni ambientali e sociali di questi sistemi sono di gran lunga più efficaci rispetto ai sistemi industriali. Le filiere corte, infatti, abbattono gli sprechi che avvengono prima del consumo al 5% a fronte del 30-50% dei sistemi industriali, mentre i sistemi di agricoltura supportata da comunità li riducono al 7% contro il 55% della grande distribuzione organizzata.
Per prevenire il fenomeno dello spreco alimentare è necessario, quindi, incentivare le produzioni di piccola scala e quelle dell’agricoltura contadina, legata ai mercati del territorio, delle reti solidali e delle cooperative tra produttori e consumatori.
Questa posizione è sostenuta anche dalla Comunità Europea che nella Risoluzione del 19 gennaio 2012 invita gli Stati membri a incoraggiare e sostenere le iniziative dirette a incentivare la produzione sostenibile su piccola e media scala legata ai mercati e ai consumi locali e regionali, riconoscendo che i mercati contadini sono sostenibili sotto il profilo ambientale e contribuiscono alla stabilità del settore primario.
In questo scenario si inserisce il recente accordo Coldiretti-FAO per la diffusione dei mercati contadini e delle filiere corte contro lo spreco di cibo. Un impegno volto a promuovere un modello di agricoltura sostenibile che favorisca i prodotti locali, l’utilizzo razionale di risorse come l’acqua e la terra e il consumo responsabile del cibo. L’esperienza italiana e in particolare quella realizzata da Coldiretti attraverso i mercati di Campagna Amica è significativa perché si pone l’obiettivo di diffondere un nuovo modello di produzione, consumo e, anche di società. La Fondazione Campagna Amica, infatti, propone e sostiene un modello di sviluppo differente, basato sul Km zero, sull’orticoltura urbana, sulla tutela della biodiversità e sul consumo responsabile ed etico, in cui lo spreco alimentare, a qualunque livello, venga ridotto drasticamente.
FONTI
[1] FAO (2018) Prevenire la perdita e lo spreco di nutrienti attraverso il sistema alimentare: azioni politiche per diete di alta qualità
[2] ISPRA (2017) Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali
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