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05.02.2019

Speciale – Giornata nazionale contro lo spreco alimentare

Oltre 7 italiani su 10 hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari, adottando strategie come il ritorno in cucina degli avanzi, una maggiore attenzione alla data di scadenza e la richiesta della doggy bag al ristorante

Svolta a tavola con oltre sette italiani su dieci (71%) hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando nell’ultimo anno strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi a una maggiore attenzione alla data di scadenza, ma anche la richiesta della doggy bag al ristorante e la spesa a chilometro zero dal campo alla tavola con prodotti più freschi che durano di più. È quanto emerge da un’indagine Coldiretti/Ixè diffusa in occasione della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare.

Nonostante la maggiore attenzione il problema resta però rilevante con gli sprechi domestici che rappresentano in valore ben il 54% del totale e sono superiori a quelli nella ristorazione (21%), nella distribuzione commerciale (15%), nell’agricoltura (8%) e nella trasformazione (2%) per un totale di oltre 16 miliardi che finiscono nel bidone in un anno.

Lo spreco di cibo nelle case degli italiani ammonta ancora a circa 36 kg all’anno procapite secondo Waste Watcher. Tra gli alimenti più colpiti svettano verdura e frutta fresca, seguite da pane fresco, cipolle e aglio, latte e yogurt, formaggi, salse e sughi. Non si tratta quindi solo di un problema etico ma che determina anche effetti sul piano economico ed anche ambientale per l’impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti.

Anche per questo sulle tavole degli italiani sono tornati i piatti del giorno dopo come polpette, frittate, pizze farcite, ratatouille e macedonia. Ricette che non sono solo una ottima soluzione per non gettare nella spazzatura gli avanzi, ma aiutano anche a non far sparire tradizioni culinarie del passato secondo una usanza molto diffusa che ha dato origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio come la ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta.

E maggiore attenzione viene rivolta alle informazioni fornite in etichetta con riguardo alla scadenza dei prodotti ed in particolare in merito al diverso significato tra “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro il…”. La dicitura “da consumarsi entro” è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio. Tale data di consumo non deve essere superata altrimenti ci si può esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni). Discorso diverso merita invece il Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro” che indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà organolettiche e gustative, o nutrizionali specifiche in adeguate condizioni di conservazione.

GLI ITALIANI SCELGONO LA “DOGGY BAG”. Il cambiamento si vede infine anche dal fatto che un italiano su tre (33%) quando esce dal ristorante si porta talvolta a casa gli avanzi con la cosiddetta “doggy bag” mentre una percentuale del 18% lo fa solo raramente secondo l’indagine Coldiretti/Ixè dalla quale si evidenzia che cresce anche la spesa a chilometri zero con la frutta e verdura che dura anche una settimana in più, non dovendo rimanere per tanto tempo in viaggio.

In Francia è stata fatta perfino una norma che obbliga i ristoranti con più di 180 posti a sedere di avere in dotazione la doggy bag, ma l’abitudine di portarsi a casa gli avanzi è radicata anche in Cina, dove la richiesta del “dabao” (che significa “Mi faccia un pacchetto”) è entrato nel galateo, e viene considerato un comportamento da persone educate. In Italia invece il 9% non la chiede perché non è educato, volgare, da poveracci e il 5% perché si vergogna. C’è peraltro un 28% di italiani non lascia alcun avanzo quando va a mangiare fuori.

La tendenza a finire quanto viene servito a tavola, secondo i suggerimenti dei nonni, richiama un passato difficile che riconosceva il valore del cibo e la necessità di non sprecarlo. Un comportamento che mal si concilia però con i troppi pudori ancora presenti nel richiedere gli avanzi del cibo acquistato nel ristorante come avviene abitualmente in altre realtà.

Un’abitudine dunque che non ha ancora contagiato capillarmente l’Italia dove permangono molte resistenze nonostante la richiesta di portare a casa gli avanzi dei pasti consumati nella ristorazione sia un diritto dei clienti sancito anche dall’entrata in vigore della legge 166/16 sullo spreco alimentare che “promuove l’utilizzo, da parte degli operatori nel settore della ristorazione, di contenitori riutilizzabili idonei a consentire ai clienti l’asporto degli avanzi di cibo”.

Non a caso molti ristoranti si sono attrezzati e in un numero crescente di esercizi, per evitare imbarazzi, si chiede riservatamente al cliente se desidera portare a casa il cibo o anche le bottiglie di vino non finite e si mettono a disposizione confezioni o vaschette ad hoc. Peraltro molte delle porzioni avanzate possono essere consumate a casa semplicemente riscaldandole oppure utilizzate come base per realizzare ottime ricette.

 

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