05.10.2018
Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente Fondazione UniVerde e presidente del Comitato Scientifico di Campagna Amica
A 17 anni dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.228/2001, la normativa di orientamento e modernizzazione del settore agricolo che disciplina l’esercizio della vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli sul territorio nazionale, possiamo constatare come sia avvenuta una profonda e radicale trasformazione del sistema agricolo italiano. In poco più di 15 anni la vendita diretta al consumatore ha subito un forte incremento diventando un fenomeno molto importante per la nostra agricoltura: il Censimento del 2010 riporta che sono oltre 270.000 le aziende che utilizzano normalmente questo canale commerciale (26% delle imprese agricole che immettono il proprio prodotto sul mercato). Oggi sono oltre 30 milioni gli italiani che acquistano direttamente dagli agricoltori nelle fattorie e nei farmer’s market di Campagna Amica, che in pochi anni è diventata la più vasta rete organizzata controllata dagli agricoltori con oltre diecimila punti di vendita.
Per i consumatori la filiera corta non costituisce solo il modo più diretto per acquistare prodotti genuini e di qualità, che hanno un diretto legame con il territorio di produzione, ma è anche uno strumento (forse il principale) per acquistare prodotti che possiedono intrinsecamente una serie di valori etico-ambientali: è più facile trovare nei farmer’s markets prodotti senza packaging, prodotti che mantengono e incrementano la biodiversità locale, prodotti derivanti da specie, razze e varietà ormai in via d’estinzione. Un aspetto, quello della sostenibilità ambientale e della tutela della biodiversità, che è sempre più richiesto dai consumatori e nello specifico da quei cittadini residenti nei centri urbani medio-grandi che sono alla ricerca di un contatto diretto con le campagne, che sono insoddisfatti del cibo prodotto in modo industriale e che rappresentano la principale clientela dei mercati di vendita diretta.
Si stima che oltre 700 varietà vegetali definite minori, tra frutta, verdura, legumi, erbe selvatiche e prodotti ottenuti da almeno 90 diverse razze di bovini, maiali, pecore e capre allevati su scala ridotta trovino sbocco nell’attuale rete di mercati e delle fattorie degli agricoltori di Campagna Amica che possono contare su circa diecimila punti vendita. Questo è evidentemente il risultato del lavoro di intere generazioni di agricoltori impegnati a difendere nel tempo la biodiversità sul territorio e le tradizioni alimentari, che negli ultimi anni è riuscito a trovare una maggiore valorizzazione commerciale anche grazie alla legge di orientamento.
Dal punto di vista delle imprese agricole, investire sulla biodiversità è diventata una condizione necessaria per distinguersi in termini di qualità delle produzioni ed affrontare così il mercato globalizzato salvaguardando, difendendo e creando sistemi economici locali attorno al valore del cibo. Del resto l’agroalimentare italiano da sempre si fonda sui saperi delle nostre comunità e si sviluppa grazie alla ricerca che offre strumenti sempre nuovi di conoscenza della biodiversità. La vendita diretta, in particolare nei mercati contadini, rappresenta l’espressione più completa di un rapporto diretto fra produttori e consumatori e risponde alla crescente domanda di consumo di prodotti di qualità, salubri, sostenibili e con forti legami con il territorio di origine.
Il tema della tutela delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario locali dal rischio di estinzione è stato al centro di dibattiti e appuntamenti internazionali a partire dal 1992, anno in cui è stata adottata la Convenzione sulla Biodiversità Biologica (CBD) a Rio De Janeiro. La Convenzione ha attribuito alla biodiversità un ruolo primario che ha determinato una successiva proliferazione di iniziative legislative, scientifiche e di programmazione territoriale nei vari Paesi. In conformità con la disciplina internazionale e nazionale di settore (e in particolare con il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, il Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo e le Linee guida nazionali per la conservazione in situ, on farm ed ex situ della biodiversità) in Italia è stata di recente varata la Legge 194/2015 – Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare – la quale è diventata la normativa di riferimento per la tutela della biodiversità agricola. La Legge prevede l’istituzione
di un sistema che si avvale di un’anagrafe nazionale in cui sono raccolte tutte le risorse genetiche
locali di origine vegetale, animale o microbica a rischio di estinzione, una rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, un sistema di banche dati finalizzate al monitoraggio e all’informazione e un comitato permanente costituito da rappresentanti del Ministero, associazioni e agricoltori custodi e nominato su designazione delle Regioni.
Questa Legge è di fondamentale importanza in quanto assegna un valore giuridico a concetti importanti come risorse locali (ovvero risorse vegetali e animali originarie di uno specifico territorio oppure introdotte da lungo tempo nel territorio di riferimento), agricoltori custodi (ovvero quegli agricoltori che si impegnano nella conservazione, nell’ambito dell’azienda agricola, della biodiversità alimentare e agraria) e comunità del cibo (ambiti locali derivanti da accordi tra i diversi portatori di interesse, pubblici e privati, legati alla tutela e alla valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare). Oltre a dare un nuovo impulso all’attuazione del Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo, questa Legge potrà mettere a sistema le numerosissime attività e iniziative legislative regionali intervenute in materia a seguito della ratifica della CBD. Significativo è anche il suo percorso: una Legge nata dai territori – ovvero dalla concertazione tra agricoltori, associazioni e Regioni – per i territori. Una conquista importante, in particolare per quegli agricoltori custodi che nonostante le difficoltà hanno sempre difeso la biodiversità e che ora hanno finalmente un riconoscimento giuridico nell’ordinamento italiano.