27.09.2021
In una società che rischia di impoverirsi sempre di più anche a livello di relazioni, dal basso nascono iniziative alimentate dalla condivisione di valori, prospettive, diritti e doveri e capaci di generare percorsi di corresponsabilità
Negli ultimi decenni in Italia abbiamo assistito ad un aumento delle disuguaglianze e al diffondersi di nuove povertà. Dalla prima crisi economica del 2008 i cambiamenti che si sono susseguiti sono stati così tanti e così veloci, non ultima la pandemia, che ancora non riusciamo a coglierne pienamente l’essenza.
Pensando alla povertà, siamo abituati ad associarla a un problema di mancato accesso ad un certo livello di benessere economico ma la situazione è ben più complessa. La povertà infatti non è più un fenomeno più o meno residuale che colpisce quegli individui e quelle famiglie che non riescono a raggiungere una certa stabilità economica. È invece una situazione molto più sfaccettata, alimentata da meccanismi di esclusione, processi di marginalizzazione e dal deterioramento delle reti di protezione. Un fenomeno che riguarda ormai diversi segmenti di popolazione come ad esempio le minoranze etniche, gli immigrati, ma anche gli anziani, i giovani scarsamente istruiti, le madri sole, i disoccupati.
I dati ISTAT ci dicono che nel 2020 il livello della povertà assoluta ha raggiunto i valori più elevati dal 2005, inizio delle serie storiche. In Italia sono più di due milioni le famiglie che si trovano in condizione di povertà assoluta (7,7%) e oltre 5,6 milioni gli individui (9,4%). Aumentano i poveri estremi ma aumentano anche gli impoveriti, aumenta la paura, la rabbia, l’insicurezza, il disagio psicologico, l’emarginazione. Anche questa è povertà.
Tuttavia la parola “crisi”, che tanto risuona in questo periodo, porta in sé un significato anche positivo che tra l’altro nasce proprio dall’attività agricola. Il termine greco (krisis) indicava infatti l’attività conclusiva della raccolta del grano quando la granella di frumento viene separata dalla paglia e dalla pula. Da qui il primo significato di “distinguere, separare” e poi per estensione “scegliere”, giungere insomma a un punto di svolta.
Accanto a forme di intolleranza e di sfiducia nell’altro e nelle istituzioni, a fianco di comunità chiuse e a episodi di non inclusione nascono tante iniziative orientate al miglioramento delle opportunità per tutti i membri della comunità. Sono iniziative che nascono dal basso, frutto dell’attivazione della società civile, alimentate dalla condivisione di valori, prospettive, diritti e doveri e capaci di generare percorsi di corresponsabilità.
In questo contesto, le aziende che praticano agricoltura sociale hanno dato e continuano a dare un grande contributo. Grazie alle opportunità nate dalla legge di orientamento, che promuove la multifunzionalità agricola, e alle linee guida definite della legge 141/2015 molti imprenditori agricoli scelgono di non seguire esclusivamente il profitto ma di fornire anche servizi alla comunità. Diversificare l’agricoltura con attività di tipo sociale diventa così una scelta tanto individuale quanto collettiva, in quanto tutto il complesso sistema del welfare territoriale viene coinvolto (famiglie, servizi sociali, servizi sanitari, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, ecc.).
Dopo un lungo anno di limitazioni e chiusure, le fattorie sociali hanno accolto in sicurezza i bambini proponendo attività ricreative ed educative a contatto con la natura, hanno realizzato percorsi di formazione, recupero e apprendimento garantendo opportunità a genitori di bambini e ragazzi con disabilità. In alcuni casi le aziende hanno anche saputo offrire agli anziani dei luoghi sereni e sicuri in cui recuperare la socializzazione e la condizione psicofisica attraverso l’ortoterapia, i corsi rieducazione posturale o le escursioni in campagna. Infine, e non meno importante, le fattorie sociali hanno dato opportunità nel campo occupazionale, offrendo possibilità di reinserimento lavorativo a persone in difficoltà attraverso corsi di formazione per l’apprendimento di nuovi mestieri o addirittura l’impiego diretto nelle stesse aziende agricole. Un tirocinio lavorativo su tre in agricoltura si trasforma infatti in posto di lavoro stabile. In Italia sono presenti circa 9.000 fattorie sociali, di cui oltre 1.000 nella Rete di Campagna Amica. La vitalità e resilienza di queste aziende, la loro attenzione alla sostenibilità ambientale ed etica, la capacità di entrare in relazione con le comunità in cui si trovano, il recupero di beni pubblici o confiscati alle mafie rende queste aziende dei luoghi in cui costruire modelli di sviluppo alternativi, più ecologici e solidali che sono e diventeranno sempre più necessari per fronteggiare le nuove e vecchie crisi del nostro Pianeta. L’agricoltura sociale ci dice che ripartire da una filiera buona, pulita e giusta è necessario e soprattutto si può fare.