La qualità di un prodotto agroalimentare può essere sia oggettiva sia soggettiva: essa è un presupposto fondamentale per differenziarsi, ma va sempre saputa raccontare in modo coerente.
Il miglior esempio di questa affermazione è proprio l’olio d’oliva, che ha le stesse caratteristiche relative alle “annate”, come nel caso del vino. Il prodotto può cambiare da un anno all’altro in funzione delle condizioni climatiche.
Tuttavia i consumatori, desiderano sentirsi intenditori e sapere se una certa annata è stata buona o cattiva per un determinato tipo vino, ma al contrario con l’olio d’oliva molti preferiscono miscele che rendano il sapore rigorosamente omogeneo. Per questi consumatori un olio di qualità ha tali caratteristiche.
Anche in questo caso la differenza si genera nella comunicazione e nel grado di cultura del consumatore. Ciò non significa che la comunicazione ci possa permettere di vendere inefficienze come fossero caratteristiche di qualità.
Ma se la qualità di ciò che vendiamo cambia troppo velocemente, ad esempio di settimana in settimana, i consumatori possono associare un certo grado di “rischio” all’acquisto.
È quindi meglio se la qualità sia stabile nel tempo.
Ma è possibile misurare la qualità?
La risposta a questa domanda può essere affermativa, specialmente se valutiamo gli aspetti oggettivi di un prodotto.
Un aspetto interessante, e ora “ufficialmente” misurabile, circa la qualità di un’intera azienda è il “Bilancio di Sostenibilità“.
La sostenibilità di una società riguarda lo scambio di valori tra l’azienda stessa ei suoi stakeholder (i consumatori finali o i clienti, le istituzioni e il territorio, gli stessi suoi dipendenti), e riguarda aspetti ambientali, aspetti economici, sociali. Tutti questi aspetti possono essere valutati secondo metodi specifici, inseriti in un report, e comunicati.
Ad esempio la qualità e l’autenticità possono essere garantite dalla legge, come per i regimi di certificazione europei che operano nel mercato a fianco di un numero crescente di sistemi di certificazione pubblici e privati.
La certificazione può essere uno strumento utile per l’impresa per qualificare e distinguere i propri prodotti e/o processi sul mercato, attraverso una garanzia attestata da terzi, ma può essere uno strumento anche per una revisione della stessa azienda secondo una nuova logica organizzativa.
Le norme di commercializzazione europee incoraggiano gli agricoltori europei a realizzare prodotti di determinata qualità, in conformità alle aspettative dei consumatori. Ciò consente un confronto dei prezzi tra diverse qualità dello stesso prodotto, assicura una qualità minima per il consumatore e facilita il funzionamento del mercato interno e del commercio internazionale.
Gli schemi di certificazione per i prodotti agricoli e alimentari nell’UE variano dal rispetto delle norme di produzione obbligatorie ai requisiti supplementari in materia di tutela dell’ambiente, benessere degli animali, qualità organolettiche, ecc.
I regimi UE noti come Dop (denominazione di origine protetta), Igp (indicazione geografica protetta) e Stg (specialità tradizionale garantita) promuovono e tutelano le denominazioni dei prodotti agroalimentari di qualità, incoraggiano la produzione agricola diversificata, proteggono i nomi da abusi e imitazioni, aiutano i consumatori fornendo loro informazioni sul carattere specifico dei prodotti:
• Dop: riguarda i prodotti agricoli e alimentari che vengono interamente prodotti, trasformati e preparati in una determinata area geografica con un know-how riconosciuto.
• Igp: riguarda i prodotti agricoli e alimentari strettamente legati alla zona geografica. Almeno una delle fasi di produzione, trasformazione o elaborazione avviene nella zona.
• Stg: sottolinea il carattere tradizionale, sia nella composizione o mezzi di produzione.
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