22.04.2018
Le emissioni di anidride carbonica, i cambiamenti climatici, l’aumento del livello del mare, l’estinzione di alcune specie, la deforestazione, sono tutti segnali che annunciano l’inizio di un cambiamento mai visto nei millenni precedenti
Dalla metà del Ventesimo secolo, il nostro pianeta ha subito delle trasformazioni profonde dovute alle attività dell’uomo. Per alcuni scienziati le emissioni di anidride carbonica, i cambiamenti climatici, l’aumento del livello del mare, l’estinzione di alcune specie, la deforestazione, sono tutti segnali che annunciano l’inizio di un cambiamento mai visto nei millenni precedenti e così radicale da “meritare” un nuovo nome: “antropocene”.
Rispetto alle emissioni di CO2, il Rapporto Global Carbon Budget 2017 presentato a Bonn nel corso della Conferenza Onu sul clima ha riscontrato che, dopo tre anni di crescita quasi zero, per il 2017 è atteso un nuovo aumento stimato intorno al +2%.
Le rilevazioni fatte dalla Noaa, l’agenzia statunitense che rileva le temperature dal 1880, delineano un quadro altrettanto allarmante rispetto ai cambiamenti climatici: gli ultimi tre anni sono risultati i più caldi del Pianeta e il trend della temperatura di lungo periodo è molto più preoccupante della classifica degli anni presi singolarmente. L’Organizzazione Metereologica Mondiale sottolinea infatti che dei 18 anni più caldi mai registrati ben 17 appartengono a questo secolo. Viaggiamo ormai su temperature medie che sono costantemente più alte di circa 1°C rispetto a quelle di un secolo fa, con anomalie maggiori alle alte latitudini, intorno al mar glaciale artico, sopra l’Europa e l’Asia nordorientale, dove si sono superati i +5 °C.
Il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA, 2017) conferma che anche in Europa le temperature terrestri e marine sono in aumento e che se permane questo trend le regioni affacciate sull’Atlantico subiranno precipitazioni più pesanti e crescenti rischi di alluvioni, mentre nell’Europa meridionale ci sarà un possibile calo di precipitazioni.
I cambiamenti climatici hanno un impatto sullo stato di salute di tutto il Pianeta. Il WWF nel 2016 ha misurato lo stato di biodiversità del nostro pianeta (LPI-Living Planet Index). Tra il 1970 e il 2012 l’indice LPI mostra che le popolazioni terrestri sono diminuite complessivamente del 38%, le popolazioni monitorate per gli ecosistemi di acqua dolce sono diminuite dell’81% e l’indice di LPI marino ha avuto un calo del 36%. Ciò che minaccia maggiormente le varie specie animali e vegetali è la perdita e il degrado dell’habitat in cui si trovano ma anche lo sfruttamento eccessivo della specie, l’inquinamento, l’introduzione di specie invasive.
Il Report dell’IUCN analizza lo stato di salute di 241 siti del Patrimonio Mondiale Naturale. I risultati del 2017 evidenziano che più di un quarto di questi siti sono minacciati dal cambiamento climatico e che rispetto ai dati del 2014 i siti in pericolo sono quasi raddoppiati passando da 35 a 62. Gli ecosistemi maggiormente a rischio sono le barriere coralline e i ghiacciai, mentre in Italia le isole Eolie e le Dolomiti. Per questi siti, oltre ai cambiamenti climatici, rappresentano delle minacce significative anche le nuove specie invasive e gli impatti del turismo di massa.
La situazione di mari e oceani non è migliore. Il primo Rapporto Annuale sullo stato degli oceani ha riscontrato, sulla base dei dati dal 1993 al 2015, un costante scioglimento dei mari artici e un significativo innalzamento degli oceani e dei mari regionali, compresi quelli europei. Particolarmente serio è inoltre il fenomeno dell’acidificazione degli oceani, causato dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera che altera la composizione chimica dell’acqua e potrebbe presto renderla invivibile per la maggior parte delle specie marine. Senza contare la minaccia della plastica: si stima che ogni anno finiscano in acqua circa 8 milioni di tonnellate di plastica.
Anche l’utilizzo del suolo mostra dei dati che fanno riflettere: quasi il 40% della superficie terrestre è sottoposta ad attività agricole e zootecniche eppure negli ultimi 40 anni è diventato improduttivo il 30% dei terreni coltivabili. Il pianeta dispone di un ammontare finito di terreno agricolo coltivabile che si sta esaurendo e la ricerca di “terre nuove” non fa che aggravare lo stato di salute del pianeta.
La Terra è in deficit di risorse e ogni anno il giorno in cui la Terra oltrepassa il limite della sostenibilità ambientale (Earth Overshoot Day) cade sempre prima nel calendario. Nel 1975 era il 28 novembre, nel 1997 alla fine di settembre e nel 2017 il 2 agosto. Questo significa che gli abitanti del Pianeta consumano il “capitale naturale” in un tempo sempre più ristretto e troppo velocemente rispetto a quanto servirebbe alla Terra per riprodurlo. Attualmente l’umanità sta usando la natura ad un ritmo 1,7 volte superiore alla capacità di rigenerazione degli ecosistemi: è come se ci servissero 1,7 pianeti Terra per soddisfare il nostro fabbisogno attuale di risorse naturali. Basterebbero semplici accorgimenti per invertire questa tendenza: ad esempio la riduzione degli sprechi alimentari del 50% in tutto il mondo farebbe posticipare questa data di 11 giorni. Se posticipassimo l’Overshoot Day di 4,5 giorni ogni anno potremmo ritornare ad utilizzare le risorse di un solo pianeta entro il 2050.
FONTI
WWF (2016), Living Planet Report.
IUCN (2017), World Heritage Outlook
CMEMS (2017), Rapporto sullo Stato degli Oceani (OSR).