22.11.2016

Cacio Romano Dop, un pezzo di storia da tutelare

La pastorizia nel Lazio ha tradizioni secolari. Oggi conta su 3mila allevamenti con un patrimonio di 750mila pecore e 359 imprese di trasformazione

      
Arrivare al più presto al riconoscimento, tutela e valorizzazione della nuova denominazione "Cacio Romano Dop" che possa meglio rappresentare le distintività e assicurare prospettive di futuro agli allevamenti di pecore delle campagne laziali. È quanto chiedono i pastori della Coldiretti che per un giorno hanno lasciato le campagne per portare le pecore al pascolo al Foro Traiano nel centro storico di Roma per difendere il lavoro, gli animali, le stalle e i pascoli custoditi da generazioni. L’importante riconoscimento in sede europea è necessario per mettere in evidenza le peculiarità di prodotto, di processo e di destinazione di mercato del formaggio “Cacio Romano Dop” consolidate nel tempo. La pastorizia nel Lazio ha tradizioni secolari e oggi conta su 3mila allevamenti con un patrimonio di 750mila pecore e 359 imprese di trasformazione impegnate in una produzione con una specifica tradizione e qualità. Per questo – chiedono i pastori laziali – è necessario che anche all’interno della denominazione Pecorino Romano sia garantita una maggiore tracciabilità e riconoscibilità della produzione laziale, caratterizzata da differenti caratteristiche qualitative. Pochi formaggi al mondo vantano origini così antiche come il Pecorino Romano con le greggi di pecore che da più di duemila anni pascolano liberamente nelle campagne del Lazio e producono il latte da cui viene ricavato questo formaggio. 
 

Un patrimonio di storia e tradizione. Gli antichi romani apprezzavano il Pecorino Romano: nei palazzi imperiali era considerato il giusto condimento durante i banchetti mentre la sua capacità di lunga conservazione ne faceva un alimento base delle razioni durante i viaggi delle legioni romane. Le prime testimonianze del Pecorino Romano risalgono dunque all’Impero: originario dell’Agro Romano è descritto dettagliatamente nelle opere di molti autori dell’Antica Roma come Plinio il vecchio, Marco Terenzio Varrone, Lucio Giunio Moderato Columella e Publio Virgilio Marone. Proprio nel trattato “De re rustica” dello scrittore di agricoltura Columella è riscontrabile una minuziosa descrizione delle tecniche di lavorazione del latte ovino.  La pastorizia è un mestiere ricco di tradizione che ha anche un elevato valore ambientale e dalla sua sopravvivenza dipende la salvaguardia di razze in via di estinzione a vantaggio della biodiversità del territorio, dalla rustica pecora sarda alla pecora sopravissana dall’ottima lana, dalla pecora comisana con la caratteristica testa rossa a quella massese dall’insolito manto nero che rappresentano un patrimonio di biodiversità il cui futuro è minacciato da un concreto rischio di estinzione.  In Italia dalla mungitura quotidiana di una pecora si ottiene in media solo un litro di latte destinato alla produzione di formaggio che potrà presto essere difeso dalla concorrenza sleale dei pecorini low cost prodotti soprattutto nell’est Europa e spacciati come Made in Italy, grazie all’entrata in vigore del decreto sull’obbligo di indicare l’origine in etichetta fortemente sostenuto dalla Coldiretti.
   
La contraffazione all’estero. Negli Stati Uniti 7 pecorini di tipo italiano su 10 sono “tarocchi” nonostante il nome richiami esplicitamente al Made in Italy. Il riconoscimento, la tutela e la valorizzazione della nuova denominazione “Cacio Romano Dop” è importante anche nei confronti dell’agropirateria internazionale diffusa pure negli Usa dove la produzione di imitazioni dei pecorini italiani nel 2015 ha raggiunto il quantitativo di quasi 25 milioni di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, mentre gli arrivi dei prodotti originali dall’Italia sono risultati pari a 10,81 milioni di chili nello stesso anno. Oltre la metà della produzione di Romano cheese e similari viene realizzata in Wisconsin, ma ingenti quantità si producono anche in California e nello Stato di New York. Se il nome è simile, le caratteristiche sono profondamente differenti perché il formaggio Made in Italy originale deve rispettare rigidi disciplinari di produzione con regole per l’allevamento e la trasformazioni e un rigido sistema di controlli, a differenza di quello realizzato negli Stati Uniti che peraltro non contiene neanche una goccia di latte di pecora ma è ottenuto da quello vaccino. Le imitazioni del pecorino nostrano con prodotti cosiddetti “italian sounding” riguardano in realtà diversi continenti. Dal Romano cheese degli Stati Uniti, anche già grattugiato o in mix con il parmesan, al pecorino Friulano del Canada dove si vendono anche il Crotonese e il Romanello, tutti rigorosamente fatti da latte di mucca come il Sardo argentino o il Pecorino cinese, dove una mucca sorridente si trova pure in etichetta incurante del significato del nome pecorino, sono alcuni delle imitazioni dei formaggi italiani smascherati dalla Coldiretti che ha anche mostrato il kit per la produzione casalinga del Romano venduto da una ditta inglese a circa 120 euro e che contiene recipienti, colini, garze, termometri, piccole presse oltre a lipasi ed altre polveri attraverso le quali è possibile realizzare una chiara contraffazione.

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