Addio alla dieta mediterranea. Gli italiani hanno tagliato del 25 per cento negli ultimi 10 anni gli acquisti di olio di oliva: i consumi a persona sono scesi a 9,2 chili all’anno, dietro la Spagna (con 10,4 chili) e la Grecia che – con 16,3 chili – domina la classifica. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti presentata alla Giornata nazionale dell’extravergine italiano, dalla quale si evidenzia il rischio di effetti negativi sulla salute per la scomparsa dalle tavole di un prodotto riconosciuto unanimemente come elisir di lunga vita.
L’Italia è l’unico al mondo a contare su 533 varietà di olive e 43 oli tutelati dall’Unione Europea. I 250 milioni di ulivi diffusi su tutta la penisola proprio quest’anno hanno garantito una produzione da record dal punto di vista qualitativo, grazie ad una stagione caratterizzata da condizioni climatiche prevalentemente favorevoli e dalla sostanziale assenza di problemi fitosanitari rilevanti. Dalla ponderazione delle stime delle diverse regioni si perviene quest’anno a una crescita attesa media del 46% rispetto alla campagna 2014-2015, per un valore assoluto che si attesterebbe a circa 299 mila tonnellate, secondo l’Unaprol. Il segno positivo è registrato in tutte le regioni olivicole italiane, con l’eccezione della Sardegna.
In queste condizioni per approfittare dell’ottima annata Made in Italy, il consiglio è quello di guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica. Se si vuole comperare un buon extravergine italiano bisogna fare attenzione ai prodotti venduti a meno di 6-7 euro al litro che non coprono neanche i costi di produzione.
Import, qualche dato. L’Italia è invasa da olio di oliva tunisino con le importazioni dal Paese africano che sono aumentate del 734 per cento nel 2015, pari ad oltre otto volte le quantità rispetto al 2014. Quest’anno si sono registrati sbarchi record di olio dalla Tunisia che diventa il terzo fornitore dopo la Spagna, la quale perde terreno anche a favore della Grecia, con l’aumento del 517 per cento delle spedizioni elleniche verso l’Italia nello stesso periodo. Il risultato è che nel 2015 l’Italia si conferma il principale importatore mondiale di olio di oliva nonostante l’andamento positivo della produzione nazionale.
Una situazione che rischia di peggiorare ulteriormente dopo il via libera annunciato dalla Commissione Europea all’aumento del contingente di importazione agevolato di olio d’oliva dal Paese africano verso l’Unione europea fino al 2017, aggiungendo ben 35mila tonnellate all’anno alle attuali circa 57mila tonnellate senza dazio già previsti dall’accordo di associazione Ue-Tunisia”.
Il rischio concreto è il moltiplicarsi di vere e proprie frodi come sembrano dimostrare le recenti indagini aperte dalla Magistratura e dall’Antitrust, ma anche di inganni, con gli oli di oliva importati che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri, a danno dei produttori italiani e dei consumatori.
Sotto accusa è la mancanza di trasparenza nonostante sia obbligatorio indicare per legge l’origine in etichetta dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è però quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva. I consumatori dovrebbero fare la spesa con la lente di ingrandimento per poter scegliere consapevolmente. In attesa che vengano strette le maglie larghe della legislazione per non cadere nella trappola del mercato.