Le donne in agricoltura hanno sempre avuto un ruolo fondamentale, significativo e insostituibile. Hanno contribuito in modo differenziato ma decisivo all’economia rurale, pur senza ottenerne il riconoscimento sociale poiché il lavoro contadino era prerogativa maschile. L’agricoltura è stata tradizionalmente un settore nel quale, a differenza degli altri settori economici, vigeva una suddivisione dei compiti in base al sesso, con il ruolo delle donne relegato prevalentemente al lavoro nei campi. Da una fase marginale, nella quale la donna svolgeva essenzialmente il compito di coadiuvante, si è passati ad una fase, iniziata ai primi del Novecento con l’arruolamento degli uomini al fronte e continuata nel periodo post-bellico con il reclutamento degli uomini in altri settori economici, in cui vi era la necessità di colmare lo svuotamento delle campagne con il lavoro femminile. Questo evento consentì alle donne di fare dei passi in avanti nel processo di emancipazione del ruolo femminile e di sostituzione degli uomini nella conduzione aziendale. In sostanza la donna è passata da mansioni poco specializzate ad assumere, posizioni di primo piano fino a diventare, oggi, protagonista nell’organizzazione e gestione delle aziende del settore agricolo.
Più di un quarto della popolazione mondiale è costituito dalle donne rurali, che collaborano al benessere familiare e allo sviluppo delle economie rurali, risultando un elemento fondamentale per la lotta alla fame, la malnutrizione e la povertà. Nella maggior parte dei Paesi in via di Sviluppo, infatti, partecipano alla produzione agricola e alla cura del bestiame e svolgono funzioni vitali per la famiglia provvedendo al cibo e alle cure dei bambini, degli anziani e dei malati. Ma spesso manca loro un accesso equo a opportunità e risorse. Testimonianza di questo è data dal fatto che, pur svolgendo la maggior parte del lavoro agricolo, raramente sono incluse nei processi decisionali che le riguardano, a causa dell’analfabetismo e della povertà estrema in cui versano. Donne che partecipano allo sviluppo dunque, ma all’insegna dell’invisibilità. Le condizioni in cui operano oggi le donne che si occupano di agricoltura nei Paesi in via di Sviluppo, appaiono più o meno analoghe allo stato delle donne contadine in Italia e in Europa fino ai primi anni – o decenni – del secolo scorso.
Paesi in via di sviluppo
Secondo la FAO, nelle aree rurali vive l’80% della popolazione più povera al mondo e nei Paesi in via di Sviluppo l’agricoltura è la principale attività lavorativa delle donne, che rappresentano il 45% della forza lavoro agricola: dal 20% in America Latina a quasi il 50% nell’Asia orientale e sud-est asiatico e Africa sub-sahariana, registrando in alcuni Paesi, quali Lesotho, Mozambico o Sierra Leone, la quota di oltre il 60%. Le condizioni di lavoro delle donne sono di gran lunga peggiori rispetto a quelle degli uomini, essendo impiegate in occupazioni inferiori o a basso salario. In Africa e in Asia, le donne di solito lavorano rispetto agli uomini 12-13 ore in più a settimana. Ma non si tratta solo di questo. L’accesso e il controllo delle risorse, a cominciare dalla terra, è fortemente penalizzante. In tutte le regioni del mondo, le donne hanno meno probabilità rispetto agli uomini di possedere la terra e i loro appezzamenti sono spesso di qualità inferiore. Meno del 20% dei proprietari terrieri del mondo sono donne. I dati dimostrano che quando le donne hanno lo stesso accesso degli uomini alle risorse produttive, ai servizi e alle opportunità economiche vi è un aumento significativo della produzione agricola e dei guadagni sociali ed economici immediati e di lungo periodo. E’ stato calcolato che i rendimenti agricoli aumenterebbero di quasi un terzo se le donne avessero lo stesso accesso alle risorse degli uomini. Di conseguenza, ci sarebbero fino a 150 milioni in meno di affamati nel mondo. I bambini hanno significativamente migliori prospettive per il futuro, quando le loro madri sono sane, in buone condizioni economiche e istruite. Soprattutto durante i primi 3 anni di vita. Si è visto inoltre che le donne reinvestono fino al 90% dei loro guadagni nelle loro famiglie – questo è denaro speso per l’alimentazione, la nutrizione, la sanità, la scuola e in attività generatrici di reddito – contribuendo a rompere il ciclo della povertà intergenerazionale.
E’ per questo che uno dei Global Goals della FAO è l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile. Perché sono ritenute fondamentali per il mandato della FAO volto al raggiungimento della sicurezza alimentare per tutti, al miglioramento della produttività agricola e alla piena partecipazione delle popolazioni rurali ai processi decisionali.
In Europa
Secondo i dati Eurostat sulla forza lavoro del 2016, nell’Unione Europea a 28 Stati (UE-28) le donne rappresentano il 35,1% della forza lavoro agricola. Tale percentuale risulta di 10 punti percentuali inferiore alla quota di donne sul totale della popolazione lavorativa (45,9%). Nei fatti, probabilmente, la realtà è molto più complessa di quella dettata dai numeri, in quanto spesso le posizioni lavorative ricoperte dalle donne nel settore agricolo assumono una dimensione informale e non risultano nelle statistiche ufficiali. Questo perché, in generale in Europa, così come in Italia, le aziende sono di dimensioni medio-piccole e per lo più a carattere familiare, dove l’aiuto dei componenti della famiglia non sempre è registrato.
Le donne rappresentano oltre il 40% della forza lavoro agricola in soli cinque Stati membri: Austria (44,5%), Romania (43,1%), Polonia, Grecia e Slovenia (41,1% in ciascuno dei tre Paesi). Per contro, le percentuali più basse di donne contadine sono state segnalate in Danimarca (19,9%) e Irlanda (11,6%). C’è una stretta correlazione tra la percentuale di donne in agricoltura sia con la corrispondente quota maschile che con la propensione agricola dei Paesi. Infatti, i Paesi con quote significative di forza lavoro femminile sono proprio quelli dove anche la percentuale maschile è rilevante e hanno una importante propensione agricola.
Sotto l’aspetto manageriale, nel 2013 circa un terzo (27,9%) della gestione aziendale è assunta dalle donne, anche se queste di norma insistono su aziende con SAU sensibilmente inferiori alle aziende gestite da uomini. Infatti in Europa le donne possiedono aziende più piccole, sia per estensione (5,4 ettari in media) che per dimensione economica (5.200 euro). Nello specifico, in Lituania e in Lettonia si registrano le percentuali più elevati di donne conduttrici (rispettivamente 47,1% e 45,2%). Le percentuali più basse sono invece registrate in Finlandia, Malta, Germania, Danimarca e Paesi Bassi, dove la proporzione di donne, dal punto di vista manageriale, non supera il 10%.
Fonti
– FAO 2016 http://www.fao.org/news/story/it/item/461140/icode/
– Eurostat, “Agriculture, forestry and fishery statistics” 2017
http://ec.europa.eu/eurostat/documents/3217494/8538823/KS-FK-17-001-EN-N.pdf/c7957b31-be5c-4260-8f61-988b9c7f2316
– CREA, “Le donne in Agricoltura” (2016)
www.crea.gov.it/wp-content/uploads/2016/03/REPORT-donne-in-agricoltura.pdf
– ISTAT, 6 Censimento Generale dell’’Agricoltura (2010)