Quando si parla di cibo pugliese il pensiero va rapidamente a tutti piatti preparati lungo i chilometri di costa che caratterizzano questa regione, dimenticando spesso, l’ottima cucina realizzata nell’entroterra. Si tratta, in effetti, di microcosmi culinari che talvolta tendono a restare nascosti, piccoli distretti del gusto custoditi gelosamente dai residenti, che, se scovati, vissuti, sono capaci di svelare un esperienza gastronomica alquanto sorprendente. Uno di questi luoghi, delle micro-cucine Pugliesi, è sicuramente quello dello chef foggiano Nicola Russo, autore di una delle più veraci e singolari esperienze gastronomiche dell’intera Puglia. Una cucina di tradizione, quella dei “Terrazzani”, dei numerosi braccianti agricoli di una volta, nata all’ombra del grande latifondismo che ha segnato per anni le sorti della città di Foggia e della pianura circostante. Un sentimento, quello dei “Cafune” (i braccianti che reggevano su i pantaloni con un pezzo di fune legato in vita), che nel tempo ha dato il via ad una cucina fatta di espedienti, realizzata con tutto quello che fosse commestibile, come le tante erbe spontanee raccolte nei campi e dai nomi impronunciabili, oppure dai formaggi barattati con i pastori transumanti che proprio da questa città iniziavano il loro cammino verso l’Abruzzo, o ancora, da semplici chicchi di grano scampati alla bruciatura delle stoppie del grano, che diventavano farina di grano arso per realizzare la pasta fresca. Una dieta povera di carni, come nella migliore tradizione mediterranea, se si esclude però, il famoso quinto quarto, recuperato manco a farlo a posta, dagli animali sacrificati al solo scopo di nutrire i proprietari latifondisti, che di certo non amavano le interiora.