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25.10.2019

World Pasta Day, la festa dal gusto italiano

L'evento, organizzato dall'International Pasta Organization, celebra il ruolo di questo alimento nel nutrire tanti popoli diversi e la sua capacità di adattarsi a ogni cultura

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Ormai da 21 anni, la Giornata Mondiale della Pasta vuole raccontare il piatto principe della dieta Mediterranea, mettendo al centro l’eccellenza italiana della pasta come simbolo del mangiar bene fatto di ricerca, emozione e creatività. Il mondo sembra innamorato della pasta, tanto che in 10 anni il suo consumo è quasi raddoppiato passando da 9 milioni a 15 milioni. L’Italia resta il punto di riferimento per questo alimento. Con oltre 3 milioni di tonnellate di pasta prodotte, l’Italia si conferma anche nel 2018 leader mondiale nel mercato della pasta, davanti ad Usa, Turchia e Brasile. Sono oltre 200 i paesi destinatari della nostra pasta: oggi circa 1 piatto di pasta su 4 nel mondo e tre su quattro in Europa sono prodotti con pasta italiana. Anche dal lato del consumo, la pasta resta un punto fermo nei menù della tavole italiane: ogni italiano ne consuma 23 Kg l’anno, con buon distacco sui consumatori di Tunisia (16 Kg), Venezuela (12 Kg) e Grecia (11,2 Kg).

Si tende a immaginare la pasta come un prodotto immutabile nel tempo, in realtà questo piatto ha accompagnato nel tempo il cambiamento negli stili di vita e rispetto al passato sono cambiate ricette, occasioni di consumo, formati e porzioni. La pasta ha saputo intercettare tendenze alimentari, culturali e sociali e allo stesso tempo si è evoluto il suo processo produttivo, con una crescente attenzione all’impatto ambientale e ai trend salutistici. Per questo l’attuale edizione della Giornata Mondiale della Pasta ha voluto riunire pastai ed esperi del food per provare a tracciare il futuro di questo alimento sempre attuale.

La storia. Da secoli si discute se la pasta sia stata introdotta nell’alimentazione quotidiana dai cinesi o dai siciliani. In effetti entrambe le culture l’hanno generata nei secoli, in modo quasi parallelo e indipendente, con ingredienti e tecniche differenti. Di certo in Italia la pasta era già conosciuta ai tempi degli etruschi, dei greci e dei romani. A Cerveteri, nella tomba della Grotta Bella, risalente ai un periodo tra il X e il IX secolo a.C. sono stati ritrovati dei rilievi che raffigurano gli strumenti ancora oggi in uso per la produzione casalinga della pasta, come spianatoia, matterello e rotella per tagliare.
Numerose sono anche le citazioni nel mondo greco e latino, dove vari autori classici, come Aristofane o Orazio, utilizzavano termini come làganon (greco) e laganum (latino) per indicare un impasto di acqua e farina, tirato e tagliato a strisce larghe, cotto in formo oppure in brodo o latte e condito per lo più con formaggio. Tuttavia, pur essendo una sorta di pasta, simile alle tagliatelle ma più corta e tozza, non aveva ancora un ruolo preciso nell’alimentazione se non quello di contorno, cioè un mero accompagnamento ad altre pietanze più comuni, come carne, pesce, uova.

È nel medioevo che la pasta comincia a diffondersi come categoria in sé, con nuovi formati, le prime botteghe di produzione un nuovo metodo di cottura, giunta fino ai giorni nostri, che consisteva nel bollire la pasta nell’acqua, nel brodo e talvolta nel latte. Agli Arabi, invece, dobbiamo l’invenzione della pasta secca che ben si conservava durante i loro spostamenti nel deserto e che permise di sviluppare gli scambi commerciali che partivano dal Sud Italia, in particolar modo dalla Sicilia, e dalla Liguria, dove il clima mite e temperato costituiva garanzia di perfetta essiccazione del prodotto. Il resto d’Italia, invece, per ragioni climatiche rimase legato alla produzione della pasta all’uovo, non essiccata e probabilmente nata dalla contaminazione con la “lagana” romana.

Ma la pasta, benché diffusa, non era ancora una pietanza di massa. Lo diventerà solo nel ‘600, quando una spaventosa carestia colpì il Regno di Napoli dominato dagli Spagnoli. Nella città partenopea, il sovraffollamento demografico e il fiscalismo spagnolo portarono la popolazione alla fame, i consumi di carne e di pane crollarono mentre la pasta divenne un alimento a basso costo, facilmente conservabile e in grado di saziare. Inoltre l’utilizzo del torchio permetteva di aumentare le quantità di pasta prodotta e diminuire i costi.

La pasta era solitamente condita solo con il formaggio, raramente con qualche carne o con delle spezie. L’accoppiamento con il pomodoro avviene solo all’inizio del 1800, in particolare quando nel 1837 viene pubblicata la ricetta “vermicelli con la pummadora” in un libro di cucina scritto da Ippolito Cavalcanti.
Dopo l’unificazione d’Italia la pasta diventerà il simbolo dell’italianità anche fuori dalla città di Napoli. A tal proposito va ricordato Pellegrino Artusi, padre della cucina italiana, che non si limitò a raccogliere ricette in giro per l’Italia riunendole nella più grande opera della cucina italiana, ma creò anche la tradizione. Egli infatti diede alla pasta un ruolo autonomo, come primo piatto del menù italiano e non più un semplice contorno come era stato fino ad allora.

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