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07.11.2018

Il maltempo dimezza la produzione di olio evo

Crollano i raccolti a meno di 265 milioni di chili, un valore vicino ai minimi storici per la pianta simbolo della dieta mediterranea pesantemente colpita dalla tropicalizzazione del clima

Con una produzione praticamente dimezzata per il crollo vicino al 40% dei raccolti, è l’olio extravergine di oliva Made in Italy a subire quest’anno gli effetti più pesanti del cambiamento climatico con l’ultima ondata di maltempo che, con il vento, non solo ha spazzato via le olive dagli alberi ma ha sradicato e spaccato migliaia di ulivi anche secolari. È quanto emerge dal primo bilancio della Coldiretti che ha convocato una vera e propria task force sull’emergenza maltempo. Particolarmente grave la situazione in Puglia con una violenta tromba d’aria che ha colpito la provincia di Brindisi, ma segnalazioni dagli olivicoltori arrivano da tutte le regioni, dalla Calabria al Lazio fino alla Liguria, dove ad essere colpita è stata la pregiata varietà Taggiasca. Una strage che colpisce il settore dopo le gelate invernali di Burian dello scorso febbraio che hanno compromesso 25 milioni di ulivi in zone particolarmente vocate lungo tutta la Penisola. Il risultato è il crollo dei raccolti a meno di 265 milioni di chili, un valore vicino ai minimi storici per la pianta simbolo della dieta mediterranea pesantemente colpita dalla tropicalizzazione del clima.

La Puglia si conferma essere la principale regione di produzione, con 87 milioni di chili, nonostante il calo del 58%, mentre al secondo posto si trova la Calabria, con 47 milioni di chili e una riduzione del 34%, e sul gradino più basso del podio c’è la Sicilia dove il taglio è del 25%, per una produzione di 39 milioni di chili, mentre in Campania il raccolto è di 11,5 milioni di chili, in riduzione del 30%. Al centro diminuisce a 11,6 milioni di chili la produzione in Abruzzo (-20%) e a 14,9 milioni di chili nel Lazio (-20%) mentre aumenta a 15 milioni di chili in Toscana (+20%) come nel nord dove complessivamente si registra un aumento del 30%. I danni agli ulivi comporteranno conseguenze pesanti anche nel lungo periodo, fermo restando il disastroso impatto a livello ambientale.

Il rischio per i consumatori è che nelle bottiglie di olio, magari vendute sotto marchi italiani ceduti all’estero o con l’etichetta delle grande distribuzione si trovi prodotto straniero (tunisino, spagnolo o greco), peraltro favorito da etichette dove l’indicazione della provenienza è spesso illeggibile. Nel 2018 gli arrivi di olio dalla Tunisia sono quasi triplicati (+170%) e potrebbero crescere ulteriormente se l’Unione Europea rinnoverà l’accordo per l’ingresso di contingenti d’esportazione di olio d’oliva a dazio zero verso l’Ue per 35mila tonnellate all’anno scaduto il 31 dicembre 2017, oltre alle 56.700 tonnellate previste dall’accordo di associazione Ue-Tunisia (in vigore dal 1998).

Sulle confezioni è praticamente impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009. In attesa che vengano strette le maglie ancora larghe della legislazione, il consiglio è quello di diffidare dei prezzi troppo bassi, guardare con attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori olivicoli, nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica dove è possibile assaggiare l’olio Evo prima di comprarlo e riconoscerne le caratteristiche positive.

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