I Sigilli di Campagna Amica - La biodiversità contadina

05.10.2018

Il patrimonio agricolo italiano

Carlo Hausmann, Agro-Camera, azienda speciale Camera di Commercio di Roma

L’Italia è il paese al mondo che vanta il più incredibile e articolato patrimonio di specialità alimentari. È un patrimonio molto vasto che sommariamente si può suddividere in gamme di produzione regionali. Il “made in Italy”, nel grande senso che tutti danno a questa espressione, comprende un enorme patrimonio di culture, stili di vita, saperi, tradizioni, che caratterizzano ciascuna delle regioni e dei territori.

I prodotti alimentari sono una parte importante di questa cultura, frutto di una storia e di una capacità intellettuale e manuale che non può essere banalizzata Per fotografare la distribuzione geografica di questo patrimonio è possibile consultare la mappa dei dialetti locali. È noto infatti che chi parla la stessa lingua mangia le stesse cose. Ogni territorio storico del nostro paese può vantare una base produttiva agricola e zootecnica distintiva, una tradizione alimentare che ricomprende sia prodotti che preparazioni gastronomiche, il tutto riassunto in una cultura alimentare che indica sia il menù, che le stagioni e gli eventi dell’anno a cui la cultura alimentare si accompagna.

Sul piano dell’autenticità è importante osservare che la personalità dei nostri prodotti è molto eterogenea. All’interno dei panieri regionali e locali troviamo infatti, uno accanto all’altro, prodotti interamente realizzati in loco con materie prime locali, ma anche prodotti fatti con materie prime extra-territoriali e con tecniche tradizionali originali. Possiamo incontrare alimenti che rappresentano un “unicum” per la loro originalità genetica, oppure una delle innumerevoli varianti di prodotti diffusi un po’ in tutta Italia. In poche parole si può affermare che la cultura alimentare locale acquisisca e rielabori stimoli, storie, usi ed abitudini per riproporre una gamma di prodotti e di ricette sempre antica e sempre nuova. Il patrimonio enogastronomico locale è quindi costituito da “mattoni” estremamente diversi e complementari.

I numeri di questo patrimonio sono veramente straordinari: parliamo di quasi diecimila prodotti di base, che a loro volta costruiscono le preparazioni alimentari.
A grandi linee possiamo individuare quattro grandi fattori di tipicità e di distintività che nei casi migliori costruiscono dei prodotti veramente unici ed inimitabili, su cui si fonda la reputazione del territorio e del suo sviluppo economico e sociale. I quattro fattori sono l’originalità genetica, i fattori ambientali che modellano la qualità del prodotto, le caratteristiche gustative, l’ingegno umano che ha prodotto negli anni (a volte nei secoli) il “progetto” del prodotto. I casi di successo, e le loro storie, sono innumerevoli. Molte volte il nome e la rinomanza delle specialità supera di gran lunga la notorietà del territorio stesso. Fa riflettere che questo enorme patrimonio di conoscenze, il saper fare alimentare italiano, non ha un proprietario, anzi possiamo affermare che esso è il frutto di una costruzione promossa da generazioni e generazioni, che ha sfruttato utilmente la sovrapposizione di culture e di ambienti, migliorando continuamente l’invenzione del cibo, valorizzando come noto anche matrici alimentari estremamente povere.

È certo però che questo patrimonio è sempre di più minacciato non solo dalla globalizzazione dei consumi, ma anche dalla debolezza della conoscenza della storia e della cultura, a partire dagli stessi cittadini che abitano il territorio. La prima manifestazione di questa debolezza è certamente l’effetto di sostituzione, sempre più incisivo, delle materie prime locali con materie prime esterne all’area di produzione. Il prodotto tipico continua ad essere realizzato, ma conservando solo la procedura di produzione. In questo caso la filiera locale si scolla per essere sostituita da flussi di fornitura globale, che rendono estremamente difficile la tracciabilità e la garanzia di provenienza. Il secondo rischio che il patrimonio alimentare tradizionale italiano sta correndo certamente è quello della banalizzazione, dell’appiattimento delle produzioni connesso alla necessità di rispondere ad una grande domanda di mercato (si veda ad esempio quello che accade in occasione di grandi sagre dedicate ai prodotti bandiera del territorio, in cui è praticamente impossibile per i produttori locali rispondere con prodotti originali nella grande quantità richiesta). Banalizzazione significa anche semplificare in modo drastico la ricetta, diminuire l’accuratezza e la manualità di alcune operazioni, rinunciare ad alcuni importantissimi fattori della tipicità (come ad esempio il latte crudo per le produzioni casearie) in nome della sicurezza alimentare, sostituire lunghi periodi di maturazione di stagionatura con artifici tecnici che consentono di poter immettere il prodotto sul mercato in breve tempo.

Nonostante questo non si deve pensare che la tecnologia sia nemica della tipicità, anzi, i nostri più grandi prodotti sono oggi realizzati grazie ad un intelligente innesto di tecniche e di dotazioni inimmaginabili fino ad alcuni decenni fa. Quando questo innesto è realizzato secondo i migliori canoni della razionalità tecnologica il risultato finale è straordinario, e si traduce in una vera esaltazione della qualità alimentare, unico vero fattore di competizione sul mercato internazionale.

Il mercato mondiale dei prodotti alimentari appare sempre più caratterizzato da una integrazione progressiva degli scambi sulla quale vale la pena di condurre una approfondita riflessione. È certamente vero che il progresso del mercato globale può consentire delle economie, offrire un ampliamento della gamma delle produzioni alimentari, una maggiore continuità delle forniture, ma ciascuno di noi può notare come questo processo, che appare inarrestabile, non sia privo di pericoli. Oggi siamo coscienti che alcuni di questi pericoli possono acquisire un carattere di irreversibilità e, come tali, vanno affrontati con assoluta priorità.

La capacità di “fare squadra” dei diversi territori appare oggi essenziale perché il processo di globalizzazione è basato su una progressiva deregolamentazione degli scambi a cui non corrisponde una precisa strategia di gestione.

Si può anzi affermare che i cittadini-consumatori si giovano e subiscono simultaneamente questo processo senza poter fare nulla, a livello individuale, per influire su tale evoluzione del mercato. Basta guardare con attenzione sugli scaffali dei supermercati per notare una proliferazione di preparazioni alimentari che hanno il nome e l’abito di una delle mille nostre ricette, ma che sono certamente realizzate con materie prime spesso non originali o con tecniche sconosciute.

Eppure queste preparazioni alimentari utilizzano sempre più immagini, forme, colori, elementi tipici del territorio, appropriandosi in questo modo della grande capacità attrattiva del territorio stesso. L’obiettivo da porsi per una crescita stabile e sostenibile è, invece, quello di promuovere prodotti autentici e di preservare il vero valore dell’identità culturale.

I consumatori richiamano a grande voce maggiori livelli di assicurazione sulla tracciabilità dei prodotti alimentari e sulle tecniche di coltivazione e trasformazione dei prodotti che finiscono sulle loro tavole. In termini di marketing, è indubbio che la certificazione di tipicità conferisce un valore di immagine eccezionale ai prodotti agroalimentari interessati e contribuisce a creare nuovi sbocchi di mercato. Tra le tendenze più significative si evidenzia il crescente interesse da parte degli operatori stranieri per i prodotti tipici italiani certificati che, pur non rappresentando categorie merceologiche nuove, possono essere presentati al consumatore finale in modo diverso e, per alcuni versi, più convincente, mettendo in evidenza non solo la percezione territoriale, ma anche le importanti connotazioni di qualità, autenticità e rintracciabilità, formalmente garantite dal marchio di riconoscimento ottenuto. Per quanto riguarda i prodotti biologici invece nonostante l’importante sviluppo della produzione agricola, la domanda per prodotti biologici, freschi e trasformati, continua ad evidenziare ritmi di crescita meno costanti e prevedibili, seppure con importanti segni di accelerazione negli ultimi mesi. A frenare gli entusiasmi per le varie categorie di prodotti biologici appare incidere ancora in modo determinante lo scarto di prezzo rispetto alle produzioni che non rispettano la normativa del biologico.

Nonostante si riconosca ampiamente che la responsabilità di informare correttamente i consumatori coinvolga l’intera catena alimentare, dai produttori agricoli agli operatori della distribuzione, sono tuttora gli enti governativi e gli stessi organismi di controllo e certificazione delle produzioni biologiche ad essere maggiormente attivi nelle iniziative di comunicazione diretta e mirata: nonostante le lacune informative, ampiamente lamentate, pochi produttori appaiono porre una forte attenzione all’informazione sul packaging per promuovere le qualità del biologico, come anche pochi punti vendita risultano essere ben attrezzati con personale adeguatamente addestrato per offrire consigli e spiegazioni ai consumatori che ne fanno richiesta.

Nella politica di sviluppo del settore c’è quindi una prima missione da compiere che è quella di affiancare il sistema dei marchi comunitari, cioè le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche, con delle nuove e più snelle forme di garanzia, che possano tutelare un gran numero di specialità. Dovrebbe essere chiaro a tutti che questo obiettivo produce risultati utili per tutti i settori e durevoli nel tempo. Anche la nota posizione di una parte dell’industria alimentare del nostro paese che lega il “made in Italy” più ad un fatto di design, che di processo produttivo, reca in sé un forte limite: che senso ha promuovere un “made in Italy” costituito da pallide imitazioni di prodotti tradizionali, realizzati con materie prime globali, trasformati in vari paesi del mondo e, a volte, solo confezionati nel nostro paese?

C’è quindi una necessità di tutela e di garanzia. Ma non bisogna farsi illusioni: non ci sono sistemi pronti a funzionare e la strada europea al riconoscimento di un gran numero di specialità, attraverso marchi con validità internazionale, è sbarrata sia dalla valutazione di convenienza che farebbero gli altri paesi partner, sia da ostacoli di carattere organizzativo ed economico, cioè dal costo molto alto di questi sistemi di garanzia. Bisogna dunque lavorare in profondità sui concetti di “origine” e “provenienza” nonché sulla trasposizione di questi concetti nella etichettatura e nelle informazioni che si danno al consumatore.

Probabilmente anche un sistema di etichettatura più completo, agganciato ad un sistema di certificazione delle principali caratteristiche delle nostre produzioni tipiche, sarebbe sufficiente a fare un grosso passo in avanti. L’importante è che questo percorso venga fatto simultaneamente in tutto il nostro Paese, assuma una importante visibilità sul mercato, e non da ultimo, sia sostenuto, in modo convinto, da tutto il sistema pubblico.

Questo tentativo deve comunque essere caratterizzato innanzitutto da un alto profilo nell’organizzazione, per non ripetere gli errori del passato. Nel passato recente, infatti, si è dato avvio ad iniziative interessanti come quella della “denominazione comunale” lanciata a suo tempo da Luigi Veronelli. L’iniziativa sebbene basata su di un’ottima intuizione, quella cioè di coinvolgere il sistema pubblico locale nella garanzia delle produzioni, non è mai riuscita a sfondare sul piano dell’organizzazione e del mercato. Ma non è tutto, accanto alla tutela bisogna certamente ricominciare a fare ricerca. Contrariamente a quello che si crede, come detto, l’innovazione tecnologica non è nemica della tradizione, ma anzi può contribuire a salvarla e a renderla più attuale. Un solo esempio per tutti è quello del miglioramento del confezionamento dei prodotti e della migliore resistenza agli stress della commercializzazione. Occorre ricostruire il mercato locale, favorire il ripristino di piccoli sistemi locali di produzione, collegando agricoltura, artigianato e piccola industria alimentare. Per far questo si può cominciare anche ad utilizzare delle leve molto semplici, che prevedono la nuova creazione di opportunità di mercato quali ad esempio tutte le forniture legate alla ristorazione collettiva, soprattutto scolastica, che sempre di più privilegiano l’utilizzazione di prodotti locali, oltre a creare opportunità commerciali che possono essere anche di elevata entità: la presenza di produzioni tipiche nel mondo scolastico crea immediatamente indotto culturale, rifamiliarizzando le giovani generazioni alla conoscenza dei prodotti della propria terra.

Passando ad esaminare il secondo grande contenitore costituito dalle elaborazioni gastronomiche si possono individuare altrettante importanti leve di sviluppo. Anche qui la prima e la più importante leva è di carattere culturale e consiste nell’addestrare, ossia nell’informare i consumatori ad una maggiore conoscenza del patrimonio gastronomico italiano, legando soprattutto i prodotti alimentari alla loro utilizzazione nelle ricette tradizionali.

Il più grande fattore di resistenza allo sviluppo commerciale delle produzioni tipiche nel nostro paese ed in particolare nel mercato turistico è stato fino ad oggi certamente legato a due fattori: i prezzi e le difficoltà di approvvigionamento.

A questo ultimo proposito è necessario cominciare a lavorare per costituire, a livello locale, delle piccole piattaforme di offerta collettive che rendano disponibili quantità significative di prodotto ai fini di una utilizzazione professionale. Gli altri investimenti che si possono fare in questa direzione riguardano la tecnologia di settore quindi, ad esempio, i laboratori alimentari, i centri di confezionamento, i sistemi di fornitura a distanza attraverso il web e, assecondando le esigenze del consumatore, i sistemi di consegna a domicilio. Una leva importante è offerta ancora una volta dal mondo della comunicazione: per legare stabilmente i prodotti alimentari e turismo è necessario stimolare una domanda giustamente esigente in fatto di cibo e di cucina, ma allo stesso tempo occorre promuovere tutte quelle forme di attività turistiche che, come avviene nell’agriturismo, si basano su un nuovo approccio ai prodotti alimentari e alla loro trasformazione. Parliamo in questo senso di una serie molto articolata di attività che prevedono, ad esempio, laboratori di educazione sensoriale in cui i turisti sono addestrati ad una approfondita conoscenza del gusto dei nostri prodotti, alle più svariate attività gastronomiche, ai corsi di cucina, per finire con la partecipazione dei turisti alle attività produttive o, perlomeno, ad alcune fasi di quelle che restano per sempre delle esperienze indimenticabili.

Da questo punto di vista, con una certa gradualità cominciano a diffondersi anche forme di vera e propria cooperazione tra cliente e produttore, per fare in modo che il turista stringa un legame ancora più forte con l’azienda, per esempio seguendo a distanza le varie fasi del processo produttivo, ordinando quelli che saranno i suoi prodotti con un congruo anticipo, o addirittura personalizzandoli secondo il proprio stile di consumo.

Alla luce di queste considerazioni e della vivacità che il nostro Paese manifesta, è necessario spingere il sistema turistico a guardare con maggiore attenzione al mondo della produzione, che non deve più essere considerato un attore di secondo piano ma deve essere integrato a pieno titolo nel settore di offerta.

Per concludere si può affermare che la politica di settore non deve intervenire solo alla fine del processo, cioè quando l’alleanza tra consumo responsabile e produzioni alimentari tipiche si è già affermata, ma deve necessariamente intervenire costruendo dal basso queste forme di alleanza, in modo programmato, fedele alla tradizione locale, ed innestando su di esse un forte contenuto di innovazione sia nell’organizzazione che nella componente commerciale.

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