24.02.2016
Ma intanto nel nostro Paese scendono le quotazioni del prodotto nazionale. A rischio il granaio Italia, con gravi ricadute su ambiente e occupazione
Dal grano alla pane i prezzi aumentano del 1450% con il grano che oggi è pagato come trenta anni fa, su livelli al di sotto dei costi di produzione attuali. È quanto emerge da una analisi Coldiretti presentata in occasione della mobilitazione degli agricoltori al porto di Bari da dove sbarca grano straniero destinato a produrre pane e pasta senza alcuna indicazione in etichetta sulla reale origine. Secondo le stime di Coldiretti, l’Italia nel 2015 ha importato circa 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero, che coprono circa la metà del fabbisogno essenzialmente per la produzione di pane e biscotti, mentre sono 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero, pari a circa il 40 per cento del fabbisogno per la pasta. Nel 2015 sono più che quadruplicati gli arrivi di grano dall’Ucraina, per un totale di oltre 600 milioni di chili, e praticamente raddoppiati quelli dalla Turchia, per un totale di circa 50 milioni di chili.
Si tratta del risultato delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da "spacciare" come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale, che non obbligano a indicare la provenienza del grano utilizzato. In Italia è fatto con grano straniero un pacco di pasta su tre e circa la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Nel 2016 i prezzi del grano duro nel nostro Paese sono crollati del 31 per cento rispetto allo scorso anno, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. In pericolo non c’è solo la produzione di grano e il futuro di oltre 300mila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di circa 2 milioni di ettari a rischio inieme agli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.