11.06.2015

Non chiamateli errori, sono capolavori!

Tante prelibatezze del made in Italy, come il gorgonzola o i vini muffati, hanno origini casuali o fortunose. Che in breve si sono trasformate in storie di successo

La storia umana è piena di invenzioni nate per caso anche nel cibo, con molti dei prodotti alimentari italiani più famosi frutto della casualità o addirittura nati da errori grossolani, che hanno prodotto specialità uniche apprezzate in tutto il mondo. Il Gorgonzola o l’Amarone, il vino cotto o il brodo di giuggiole, le peschiole o il vino muffato, il formaggio Imbriago o il grano arso sono solo alcuni dei prodotti made in Italy frutto di coincidene che l’abilità dell’uomo ha però saputo riconoscere e valorizzare sulle tavole. Ecco le loro storie.

Gorgonzola. L’origine di questo prelibato formaggio sembra risalire all’879 d.C. quando, presso un caseificio di Milano, un mandriano lasciò per una notte in un contenitore del latte cagliato, per poi aggiungervi per sbaglio dell’altro latte cagliato e accorgersi qualche giorno dopo di aver creato un formaggio dalle venature verdi che risultava molto appetitoso. Ma secondo altri il gorgonzola sarebbe nato da un errore di valutazione di un oste della omonima cittadina (in provincia di Milano) che sbagliò la modalità di conservazione di alcune forme di stracchino fresco regalategli da alcuni pastori con lo sviluppo delle caratteristiche muffe.
Amarone. Le uve vennero lasciate appassire e poi pigiate in inverno e fatte fermentare a basse temperature, creando uno dei vini più famosi al mondo. Circa settanta anni fa, i lieviti naturali presenti nel vino di una botte di Recioto dimenticata nella cantina sociale Valpolicella, hanno iniziato a fermentare e a trasformare tutto lo zucchero in alcool. Alla fine, il capo cantina ha pensato che il Recioto fosse ormai perduto e diventato molto più che amaro, “Amarone”.
Imbriago. La sua origine risalirebbe alla prima Guerra Mondiale, grazie all’ingegnosità dei produttori agricoli che per nascondere i formaggi fatti in casa agli affamati soldati austro ungarici, li coprivano con le vinacce di scarto per attirare attenzione.
Brodo di giuggiole. È nato da una scoperta legata alla tradizione di utilizzare la frutta in abbinamento alla grappa. La pianta importata dalla Siria dai Romani è ancora coltivata nel Basso Garda (Desenzano, Maderno), nel vicentino e lungo i pendii collinari di in un piccolo comune di Padova: Arquà Petrarca. Qui il poeta ha vissuto ed è tuttora sepolto. Si narra di questo sapore dolce, talmente gradevole che fece innamorare anche la sua musa Laura che quando gustava il liquore “andava in brodo di giuggiole” una espressione proverbiale dovuta al successo e alla fama del liquore, tale da fare uscire quasi di sé dalla contentezza. La tecnica di concentrazione “a fuoco diretto” dei mosti di uva è nata casualmente nel tentativo di eliminare i fermenti nocivi con il calore diretto del fuoco e ha portato alla nascita del cosiddetto vino cotto. Il prodotto concentrato così ottenuto infatti era di sapore gradevole, fruttato e zuccherino e si è cominciato ad utilizzarlo in molte ricette, come salsa dolce per prodotti da forno o per condire pietanze e carni.
Peschiole campane. Hanno origine dal fallimento di un innesto del pesco coltivato di un agricoltore che aveva ordinato degli alberelli, ma al momento di raccogliere la frutta si rese conto che l’incrocio non era riuscito bene e decise di lavorare e conservare i piccoli frutti quando venivano diradate, alla stregua di qualsiasi altro ortaggio. Alla vista sembrano una particolare varietà di olive, perché ne hanno la forma, il colore e la dimensione, ma sono una varietà di pesche, raccolte prima che inizi il processo di maturazione, quando nei minuscoli frutti non c’è ancora il nocciolo; dopo la raccolta, vengono cotte in acqua ed aceto aromatizzata con spezie e conservate in barattoli di vetro, in agrodolce, al naturale, senza uso di conservanti o altri elementi chimici, secondo una speciale e segreta ricetta che rende questo prodotto unico, croccante, delicato e molto gustoso.
Grano arso. Tipicamente pugliese, nasce casualmente dal recupero delle spighe di frumento cadute a terra e occultate dalla vegetazione dopo la raccolta, che avveniva dopo la bruciatura delle stoppie, anche in virtù del fatto che bruciando la paglia si favorisce la fertilizzazione del terreno. Il grano raccolto dopo la combustione dei campi sfruttati dopo la macinatura produceva una farina grigia, diversa per colore e sapore da quella normale di colore bianco (da qui il nome della farina di grano “arso”). Oggi il metodo di produzione è cambiato, anche per evitare residui nocivi conseguenti alla bruciatura: la farina di grano arso è ottenuta attraverso la tostatura (quindi non più la bruciatura) del grano, ma il colore, aromi e gusto restano particolarissimi, vicini a quelli della nocciola tostata, con un vago sentore di caffè. Un prodotto raro e prezioso, che merita un sicuramente un assaggio e si presta sia alla preparazione della focaccia classica o a un bel piatto di tradizionali orecchiette, sia nella formulazione di ricette alternative.
Vini muffati. Contrariamente a quanto induce a pensare il loro nome, non sono prodotti andati a male, ma vini dolci di particolare valore, nati per caso dall’utilizzo di uve sulle quali si sviluppa una “muffa nobile” – la Botrytis cinerea – che, perforando la buccia dei chicchi, fa sì che quasi il 50% dell’umidità dell’uva evapori, permettendo al succo dell’uva di concentrarsi e aumentare il grado zuccherino, trasformandosi in glicerina che poi darà rotondità al vino. Il vino muffato ha avuto uno sviluppo particolare nei Castelli romani, che a due passi da Roma sono uno dei pochi luoghi al mondo dove si sviluppa la tanto desiderata muffa nobile, mentre la tendenza a ritardare la vendemmia è testimoniata da alcuni atti agrari risalenti al 1833, nei quali si legge la consuetudine "di lasciare quasi appassire l’uva sulla pianta per ottenere quel vino dolce e d’intenso colore tanto ricercato dagli osti romani", che poi va sotto il nome di Cannellino di Frascati.

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