Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Due Papi, due vite sicuramente diverse ma complementari. Due figure simbolo del cattolicesimo che insieme, non a caso, chiudono un percorso di fede arrivando a una Santificazione che porterà a Roma milioni di pellegrini. Personaggi molto diversi dicevamo. Roncalli, per tutti il Papa buono, di estrazione umile: veniva dalla campagna di Sotto di Monte (nel bergamasco). Wojtyla, invece, era figlio di un ex ufficiale asburgico ma il suo voler essere da sempre vicino alla gente lo aveva portato agli inizi ad affrontare un’esperienza come operaio.
Ad unirli, oltre alla fede ovviamente, la parola: erano due grandi comunicatori. Ma non solo. L’altro legame forte che avevano era quello con la terra: di origine contadina Papa Roncalli, di indole ambientalista Papa Wojtyla (celebri le sue “battaglie” ecologiche).
Due Papi molto attenti ai temi della Coldiretti e di Campagna Amica e di cui vogliamo ricordare, in attesa che domenica si compia il rito più importante del cristianesimo, proprio questo aspetto.
“Che sarei io se un giorno il Signore non mi avesse chiamato in un altro campo? – raccontava in un’intervista Giovanni XXIII – Sarei un lavoratore, come lo sono molti miei nipoti, i quali pur accettando il dono dell’istruzione e della cultura, hanno voluto rimanere alcuni nei campi a lavorare, ed altri, perché anche per loro, come per tutti gli italiani, ad un dato momento la terra non è stata più sufficiente per le accresciute braccia, si sono recati negli stabilimenti e nelle officine”.
Un amore per la terra che da sempre aveva mantenuto la sua famiglia, un attaccamento tale che era diventato famoso, in seminario, per i suoi enormi stivali da contadino che non abbandonava mai. “Non si tolse mai i suoi stivali – ricorda in un’intervista un suo allievo – Anche se si fosse proposto di arrivare in classe in silenzio e senza essere sentito dagli allievi, non ci sarebbe mai riuscito per il rumore che facevano quegli stivaloni”.
Contadino nell’animo Papa Roncalli, contadino “acquisito” Papa Wojtyla. Per lui la terra è stato da sempre un bene da proteggere. Per dare un’idea del suo attaccamento, significativo il discorso fatto nel 1993 ai contadini dinanzi al Santuario di Maria Santissima della Lode nel giorno di San Giuseppe. Ecco alcuni passaggi: “Vi saluto tutti cordialmente, uomini e donne della Sabina, impegnati, a diverso titolo, nel duro lavoro dei campi, e benemeriti di un settore produttivo imprescindibile e fondamentale”. E ancora: “La fede, proprio come i vostri campi di frumento, i vostri frutteti, i vostri ulivi, ha bisogno di essere coltivata. Non basta averla ricevuta, né è sufficiente conservarla come un oggetto prezioso, nascosto in uno scrigno. Nella prima Lettera ai Corinzi, Paolo parla di un “campo”, in cui la parola della predicazione è seminata ed irrigata, affinché poi Dio la “faccia crescere”. E alla fine conclude: “Voi siete il campo di Dio!” (cf. 1 Cor 3, 5-9). Nessuno più di voi, lavoratori della terra, è in grado di cogliere la pertinenza e la profondità di tale paragone. Voi avete una fortuna diventata ormai rara, specie per quanti vivono nel rumore assordante delle città: quella di toccare con mano ogni giorno il miracolo della natura. A voi è dato di sentire, dentro la vita che sboccia, il mistero perenne della creazione. Se questo è vero per la natura, quanto è ancora più vero sul piano soprannaturale! Nel “campo” dei cuori umani, il miracolo della fede è opera della grazia, dono di Dio. Tutto è grazia”. E poi proprio una citazione, durante il suo discorso, di Giovanni XXIII: “Nel lavoro agricolo – ha scritto il Papa Giovanni XXIII nella Mater et magistra – la persona umana trova mille incentivi per la sua affermazione, per il suo sviluppo, per il suo arricchimento, per la sua espansione anche sul piano dei valori dello spirito. È quindi un lavoro che va concepito e vissuto come una vocazione e come una missione; come una risposta cioè ad un invito di Dio a contribuire all’attuazione del suo piano provvidenziale nella storia, e come un impegno di bene e di elevazione di se stessi e degli altri e un apporto all’incivilimento umano” (Le Encicliche sociali dei Papi, a cura di Igino Giordani, Roma 1969, vol. II, p. 53).