Spesso abbiamo trovato in vendita nei negozi prodotti che evocano una provenienza "di montagna" (come, ad esempio, il prosciutto). Oggi l’utilizzo di questa dicitura viene disciplinato sul piano normativo da un decreto ministeriale, di prossima pubblicazione, che recepisce i requisiti previsti dai regolamenti comunitari n.1151/2012 e 665/2014. Un modo per dare più visibilità ai sistemi di qualità per quei prodotti le cui materie prime, compresi gli alimenti per animali, provengano essenzialmente da zone di montagna e, nel caso dei prodotti trasformati, anche la trasformazione avvenga in zone di montagna.
Per “zone di montagna” si intendono le aree che si trovano nei Comuni classificati totalmente montani e parzialmente montani (art. 31 paragrafo 1 del Reg. UE n. 1305/2013) nei piani di sviluppo rurale delle rispettive regioni.
In tal senso, l’indicazione "prodotti di montagna" si applica:
– Ai prodotti di origine animale, solo se ottenuti da animali allevati per almeno gli ultimi due terzi del loro ciclo di vita nelle zone di montagna ed ivi trasformati (un quarto della loro vita per i transumanti). I mangimi per gli animali di allevamento sono considerati provenire essenzialmente da zone di montagna se la proporzione della dieta annuale degli animali che non può essere prodotta nelle zone di montagna, non supera il 75% nel caso dei suini, il 40% per i ruminanti e il 50% per gli altri animali da allevamento.
– Ai prodotti di origine vegetale, solo se le piante sono state coltivate unicamente nella zona di montagna.
– Ai prodotti dell’apicoltura, solo se le api hanno raccolto il nettare e il polline esclusivamente nelle zone di montagna.
I prodotti come erbe, spezie e zucchero, utilizzati come ingredienti nei prodotti di montagna di origine animale e vegetale possono anche provenire da aree al di fuori delle zone di montagna, purché non superino il 50% del peso totale degli ingredienti.
Le operazioni di macellazione di animali e sezionamento e disossamento delle carcasse e quelle di spremitura dell’olio di oliva devono avvenire in impianti di trasformazione situati non oltre 30 km dal confine amministrativo della zona di montagna. Per il latte e i prodotti lattiero caseari ottenuti al di fuori delle zone di montagna in impianti di trasformazione in funzione dal 3 gennaio 2013, viene stabilita una distanza non superiore ai 10 km dal confine amministrativo della zona di montagna.
Grazie a queste norme, viene definito un quadro di trasparenza sia verso i produttori che verso i consumatori sull’utilizzo del termine “prodotto di montagna”, che può essere una molla vincente di valorizzazione dei cibi che effettivamente provengono dalle aree montane. Prodotti preziosi, che assolvono al difficile compito di tramandare la tradizione agroalimentare locale, mantenendo viva l’attività primaria in territori spesso più periferici e svantaggiati.