09.11.2015

Torna lo stabilimento di origine in etichetta

È arrivato anche il via libera del Governo. Ora inizia l’iter parlamentare del disegno di legge

È  finalmente  arrivato il via libera definitivo del Governo al disegno di legge che prevede la reintroduzione dell’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento per i prodotti alimentari, prodotti in Italia e destinati al mercato italiano. La scomparsa dell’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione risaliva all’entrata in vigore il 13 dicembre 2014 delle norme europee sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori del Regolamento comunitario n.1169/2011. Un Regolamento che consente però ai singoli Stati Membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti qualora i cittadini esprimano in una consultazione parere favorevole in merito alla rilevanza delle diciture di origine ai fini di una scelta di acquisto informata e consapevole. E la consultazione pubblica lanciata dal Ministero delle Politiche Agricole – che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Mipaaf dal novembre 2014 a marzo 2015 – ha avuto un esito schiacciante: il 96,5 per cento degli italiani ha chiesto maggiore trasparenza in etichetta. Si tratta di un passo importante, che si spera venga al più presto accompagnato anche dall’indicazione obbligatoria della provenienza degli alimenti. La stragrande maggioranza dei consumatori, infatti, ritiene necessario che l’origine debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta dove ancora manca, dai formaggi ai salumi, dalle conserve ai succhi di frutta fino al latte a lunga conservazione. Quasi la metà della spesa è ancora anonima a causa di una normativa comunitaria contraddittoria che obbliga a indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, ma non per i prosciutti, per l’ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Il risultato è che gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano – solo per fare un paio di esempi – due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta come pure la metà delle mozzarelle.

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