La sfida è lanciata: pizza napoletana patrimonio Unesco. Origine, tracciabilità, modalità di preparazione. Alcuni dei credo di Campagna Amica fanno della pizza napoletana un prodotto riconoscibile e riconosciuto in tutto il mondo, tanto da esporlo a contraffazioni di tutti i generi, a cominciare dai prodotti utilizzati per la sua realizzazione: dalla “Pomarola” del Brasile all’olio “Pompeian” degli Usa, passando per la “Zottarella” tedesca.
La raccolta firme. Parte così la nuova sfida di Campagna Amica e Coldiretti per la tutela della pizza, ritenuta un emblema del nostro patrimonio alimentare anche per l’utilizzo di alcuni ingredienti di tipica espressione dei nostri territori. Nei mercati, negli agriturismi e nei punti vendita di Campagna Amica è in corso una raccolta firme per sostenere l’iscrizione dell’ “arte della pizza napoletana” nella lista Unesco dei patrimoni immateriali dell’umanità (che ha riconosciuto in passato la Dieta Mediterranea) e tutelarne così l’identità. Un modo per fare definitivamente chiarezza sull’origine italiana degli ingredienti e sulle modalità di preparazione, per garantire le condizioni igieniche e sanitarie ottimali.
Una raccolta firme che accompagna la petizione lanciata sulla piattaforma Change.org (
https://www.change.org/p/proteggiamo-il-made-in-italy-la-pizza-come-patrimonio-unesco) insieme all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e alla fondazione UniVerde dell’ex ministro dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio, per garantire pizze realizzate a regola d’arte con prodotti genuini e provenienti esclusivamente dall’agricoltura italiana e combattere anche l’agropirateria internazionale.
Due pizze su tre non garantite. Se all’estero la battaglia all’originalità della pizza è quotidiana, il problema non è da sottovalutare anche nel nostro paese, anzi. In Italia quasi due pizze su tre (63 per cento) sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori. Troppo spesso viene servito un prodotto preparato con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale.
Frenare importazione “selvaggia”. In Italia sono stati importati nel 2013 ben 481 milioni di chili di olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20 per cento nei primi due mesi del 2014. Un fiume di materia prima che ha purtroppo compromesso notevolmente l’originalità tricolore del prodotto servito nelle 50mila pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati.