La densa conversazione tra Carlo Petrini e Luis Sepúlveda (Un’idea di felicità, Slow Food Edizioni) ci regala spunti e argomenti interessanti nei più disparati capi del sapere, dalla storia all’economia, dall’etica all’ambiente, spesso, attraverso il filtro di storie e personaggi formidabili anche se sconosciuti. Il primo risultato è, dunque, quello di amalgamare politica e poesie […]
La densa conversazione tra Carlo Petrini e Luis Sepúlveda (Un’idea di felicità, Slow Food Edizioni) ci regala spunti e argomenti interessanti nei più disparati capi del sapere, dalla storia all’economia, dall’etica all’ambiente, spesso, attraverso il filtro di storie e personaggi formidabili anche se sconosciuti. Il primo risultato è, dunque, quello di amalgamare politica e poesie e di conciliare attivismo e letteratura perché “attraverso il cibo si può fare tutto” (p. 37).
In effetti, la ricerca della felicità che guida gli autori, nel ricordo anche biografico di vicende minori o nella cornice collettiva di scelte istituzionali procede attraverso il racconto del cibo e dei mestieri che lo rendono disponibile e condiviso in ogni angolo del globo: dalle favelas brasiliane, alle griglierie cilene, alle panetterie d Amburgo.
IL RISCATTO DELL’ENOGASTRONOMIA
Così, parlando di piccole cose che ruotano attorno alla memoria di comunità povere o ribelli ma sempre entusiaste ed
accoglienti, si mette a punto un vero programma rivoluzionario: quello di liberare il mondo dalla fame e dalla malnutrizione, mentre, in contemporanea, siamo “tutti imbalsamati intorno alla spettacolarizzazione televisiva del cibo che spopola a ogni latitudine” (p. 38). È il riscatto della dimensione gastronomica che possiamo piegare in vista del concreto cambiamento dell’economia di mercato capace, oggi, di emarginare i più poveri e umili dalla tavola, in modo da restituire il diritto alla autosufficienza e alla diversità alimentare soppiantato dalla redditività. Occorre, infatti, acquistare consapevolezza che l’intensificazione produttiva celebrata dalle multinazionali con l’ausilio di tecnologie transgeniche continua a provocare povertà e devastazione dell’ambiente e, in particolare, a privare della cultura dello stare assieme, di essere comunità che condivide qualcosa che è stato fatto con amore: “ogni pasto, per quanto
semplice, contiene una molteplicità di storie. C’è la storia del contadino che ha piantato e coltivato la pianta e magari la storia del viaggio della patata da un paese all’altro. Quello del vignaiolo che ha coltivato la vite e prodotto il vino, e magari quello del viaggio del vino da un continente all’altro”(p. 74).
BUONO, PULITO E GIUSTO
Ma se si persegue un’idea forte, sottolineano gli autori, è possibile vincere, tanto che è proprio nelle tappe di avvicinamento al cibo buono, pulito e giusto che si rintraccia la felicità attraverso un’inedita alleanza tra agricoltori, pescatori e consumatori, che allestiscono orti urbani e inaugurano mercati di vendita diretta, interpretano vecchi saperi ed esercitano nuovi mestieri. Insomma, assumono importanti decisioni politiche, ribellandosi ad un sistema che sotto
la copertura di loghi e marchi celebri tende ad appropriarsi della fonte di benessere più importante che abbiamo: ciò che
mangiamo.