28.05.2014

Import cibi contaminati: allarme peperoncino, ma non solo

Possiamo contare su una produzione Made in Italy con livelli di sicurezza da record, eppure consumiamo prodotti agroalimentari stranieri a rischio. Ecco quali

Con il 61,5 per cento dei campioni risultati irregolari per la presenza di residui chimici è il peperoncino proveniente dal Vietnam il prodotto alimentare meno sicuro in vendita nel nostro Paese. L’Italia nel 2013 ne ha importato ben 273.800 chili per utilizzarlo nella preparazione di sughi tipici come l’arrabbiata, la diavola o la puttanesca piccante e per insaporire l’olio o per condire piatti senza alcuna informazione per i consumatori. È quanto emerge dal Dossier “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”,  presentato oggi dalla Coldiretti al Palapartenope di Napoli.
Sotto la pressione della crisi, è sostenuto il commercio di surrogati, sottoprodotti e aromi artificiali oltre che di alimenti a basso costo, come dimostra il fatto che le importazioni agroalimentari in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di euro nel 2013 con un aumento del 20 per cento rispetto al 2007. Ma si tratta di cibi a rischio elevato, come dimostrano le analisi condotte dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) nel Rapporto 2014 sui Residui dei Fitosanitari in Europa. Se nel 61,5 per cento del peperoncino dal Vietnam è stato trovata la presenza in eccesso di sostanze vietate (difenoconazolo, hexaconazolo e carbendazim), a preoccupare è anche l’arrivo sul territorio nazionale nel 2013 di 1,6 milioni di chili di lenticchie dalla Turchia che, secondo l’Efsa, sono irregolari in un caso su quattro (24,3 per cento) per residui chimici in eccesso e delle arance dall’Uruguay che presentano il 19 per cento dei campioni al di sopra dei limiti di legge per la presenza di pesticidi (come imazalil  ma anche di fenthion, e ortofenilfenolo) vietati in Italia. Nella classifica dei prodotti più contaminati elaborata alla Coldiretti ci sono anche le melagrane dalla Turchia (40,5 per cento di irregolarità), i fichi dal Brasile (30,4 per cento di irregolarità), l’ananas dal Ghana (15,6 per cento di irregolarità), le foglie di the dalla Cina (15,1 per cento di irregolarità) le cui importazioni nei primi due mesi del 2014 sono aumentate addirittura del 1.100 per cento, il riso dall’India (12,9 per cento di irregolarità) che con un quantitativo record di 38,5 milioni di chili nel 2013 è il prodotto a rischio più importato in Italia, i fagioli dal Kenia (10,8 per cento di irregolarità) e i cachi da Israele (10,7 per cento di irregolarità).
Si tratta di valori preoccupanti, specie per un Paese che può contare su una produzione Made in Italy con livelli di sicurezza da record con un numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite di appena lo 0,2 per cento che sono risultati peraltro inferiori di nove volte a quelli della media europea (1,6 per cento di irregolarità) e addirittura di 32 volte a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità). Un pericolo che colpisce ingiustamente soprattutto quanti dispongono di una ridotta capacità di spesa sono costretti a rivolgersi ad alimenti a basso costo dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di diversa qualità o metodi di produzione alternativi. Dall’inizio della crisi sono più che triplicate in Italia le frodi a tavola con un incremento record del 248 per cento del valore di cibi e bevande sequestrati perché adulterate, contraffate o falsificate sulla base della preziosa attività svolta dai carabinieri dei Nas dal 2007 al 2013.

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